Walter Pfeifer: sarto da sessant'anni. "Sono nato nel 1940, la pensione non so cosa sia"

Bolzano. “Ogni tanto qualcuno mi chiede quando vado in pensione e io rispondo: e cos’è la pensione?”. Walter Pfeifer ama troppo il suo lavoro per fermarsi. Ha iniziato a fare il sarto nel 1957. Quando gli chiediamo quanti anni ha scoppia in una risata “Il tempo vola. Ho 84 anni, sono nato nel 1940” risponde divertito, gli occhi azzurri svelti “da vicino non mi servono gli occhiali, vedo la minima pagliuzza” ci spiga, mentre si muove snello e rapido tra rocchetti giacche e pantaloni della sua botteguccia in centro a Bolzano. L’arredo è al minimo essenziale: una vecchia macchina da cucire Phoenix – “elettrica, anche questa ha sessant’anni” – il ferro da stiro, lo stand per appendere i vestiti. Qualche foto dei nipotini. Il riscaldamento non c’è, ma con la stufetta vicino non ci sono problemi: “es geht schon” (va bene), ripete Walter Pfeier e ribadisce: “Il mio lavoro mi piace e voglio farlo ancora a lungo”. Pfeifer non lavora per necessità, ma per passione, per nulla scosso dal tempo e dai cambiamenti che hanno rivoluzionato il suo settore, con l’avvento prima dei vestiti confezionati e poi del fast fashion.
“Prima facevo tutto, vestiti, tailleur, cappotti, tutto, ma oggi con 120 euro ti danno un completo da uomo, e un sarto non può stare dietro a questi prezzi. Da un paio d’anni faccio solo riparazioni, il resto non viene più richiesto”. Il mestiere Walter Pfeifer l’ha imparato con il cognato, in una sartoria classica. “Ero il dodicesimo di 14 figli, mio padre aveva una piccola azienda di trasporti per il legname in Val d’Ega. Ma io già a sedici anni sapevo che non mi piaceva guidare i camion, preferivo cucire nella Stube”. E così ha iniziato a imparare il mestiere.  “Il laboratorio era in via Brennero, eravamo in cinque, una volta alla settimana frequentavo le professionali. Allora si cucivano i vestiti, ricordo che negli anni ‘60 prima di Ognissanti c’era sempre una grande richiesta di cappotti, tutti ne volevano uno nuovo. Facevamo 50/60 cappotti al mese, e poi pantaloni, i clienti ne ordinavano 2-3 per volta. C’erano i negozi di stoffe, oggi si fa fatica a trovarle… vede questo qui” e mostra un abito che ha in mano “con questo tessuto non si può mica cucire un vestito fatto come si deve”. Poi si alza di scatto e torna con un blocchetto di campionario, tanti piccoli rettangoli di lana, ci sono tessuti di principe di Galles e gessati. Li tocchiamo, sono morbidissimi: “E’ pura lana, ordinavo le stoffe direttamente dalle fabbriche, ma questo blocchetto ormai non serve più, ogni tanto ne taglio un pezzo che mi serve come base per qualche lavoro”, sorride. Ma quanto ci voleva per fare un abito su misura? “Per un completo da uomo un giorno e mezzo, quasi due…per un cappotto una giornata buona”. E oggi? “Io conto 140 euro per un pantalone, più la stoffa. Non è tanto, ma ormai non li faccio più, nemmeno per me stesso, ho solo un cliente italiano che me li chiede, vuole solo quelli che gli faccio io”.

La giornata di Walter Pfeifer è tutta tra gli abiti e le stoffe, eppure la moda non gli interessa più di tanto. “Negli anni ’60 e ’70 si diceva che gli italiani erano i meglio vestiti, ma oggi si portano certi completi…guarda i pantaloni da uomo, sono così stretti, aderenti e corti, il tessuto non cade. Se loro vogliono andare in giro così per me è lo stesso” alza le braccia e sorride ancora Walter, e aggiunge “e poi le gonne, vanno corte così ” e fa un gesto all’inizio delle gambe, “per me non c’è nessuna moda ormai”. Ma per fortuna il lavoro non manca con le riparazioni: orli, maniche da accorciare, giacche da rifoderare, tutto elencato in una lista a matita.
“Ho il negozio su questa via da 14 anni, sul piano strada la gente mi trova facilmente. Sono qui tutti i giorni della settimana, mattina e pomeriggio”. Ricordiamo che ha 84 anni. Ma come fa? “Il mio motto è lavorare e fare sport. A 70 anni mi sono comperato una bici da corsa e ho iniziato a fare i passi, la Mendola, passo Pennes, con un amico ho fatto il lago di Garda in giornata, sono 210 km! E con mio figlio ho fatto da San Candido a Trieste. E poi la Sellaronda, l’ho fatta cinque volte: dopo le salite, verso la discesa, mi scendevano le lacrime dalla gioia” ricorda commosso, “Ma da quando ho compiuto 80 anni mi limito ai giri in bicicletta da Bolzano a Merano. E vengo al lavoro in bicicletta, ma con quella normale, non da corsa”. Insomma, un regime da manuale. Ma per rimanere così bisogna stare attenti col mangiare: “Faccio una buona colazione con pane burro marmellata, frutta, a pranzo eine Pasta e a cena poco. Mi guardo le notizie e le trasmissioni sulla natura. E alle nove a letto”. E i social, internet? “Internet ce l’ho, ma non me ne intendo tanto, nel caso se ne occupa mio figlio”. Vicino alla macchina da cucire c’è una radio “Ma non l’accendo sempre”. Insomma, l’esistenza dell’energico sarto Pfeifer è felicemente analogica e a quanto pare a lui non servono esercizi di mindfullness per stare bene. Cosa si augura per il futuro? “Di rimanere sano! Io dico sempre che non voglio ritrovarmi con la bocca aperta in un ospizio. Ma non ce la possiamo scegliere e bisogna prenderla come viene”.
Si alza per salutare e vediamo la sedia su cui lavora, o meglio quel che ne resta: l’imbottitura rappezzata e lo schienale avvolto da una vecchia giacca a vento: “Mi protegge dalle correnti d’aria”. E si mette ancora a ridere: ”In effetti sarebbe ora di cambiarla”.

Caterina Longo

Immagine in apertura: Walter Pfeifer nel suo laboratorio. Foto Venti3

Ti potrebbe interessare