Bolzano: Schutzhütte b1, un rifugio tra assistenza e integrazione
Secondo i dati del Ministero degli Interni aggiornati al 15 ottobre 2024, in Trentino Alto Adige sono stati accolti 1.688 migranti, un numero inferiore rispetto ai picchi registrati nel 2015. Tuttavia, la pressione rimane alta. Bolzano, con la sua posizione strategica, continua a essere un nodo cruciale per i flussi migratori, con centinaia di persone che, pur non trovando le condizioni d’accoglienza ottimali, restano intrappolate nella zona. Le persone in transito, molte delle quali rimangono escluse dai canali ufficiali, spesso si trovano abbandonate a se stesse, con poche o nessuna risorsa per far fronte ai bisogni immediati, come un luogo sicuro dove dormire o il supporto per affrontare le pratiche burocratiche.
In questo contesto, l’azione di organizzazioni come Schutzhütte b1 rifugio si è rivelata fondamentale, non solo per fornire aiuto immediato ma anche per affrontare lacune sistemiche. L’organizzazione di volontariato Schutzhütte b1 rifugio è nata proprio nel pieno dell’emergenza del 2015-2016 e, in questi anni, ha ampliato la propria missione, passando dall’assistenza d’urgenza alla costruzione di percorsi di integrazione. Di fronte a una situazione che ancora oggi appare complessa e irrisolta, il progetto dell’associazione offre un esempio di come la società civile possa intervenire efficacemente laddove le istituzioni faticano a rispondere.
Per comprendere meglio il lavoro dell’Associazione abbiamo chiesto a Caroline Hohenbühel, curatrice della Chiesa Luterana di Bolzano e presidente dell’Associazione Schutzhütte b1 rifugio.
Come è nata l’idea di creare l’Associazione Schutzhütte b1 rifugio?
L’associazione è nata da un bisogno urgente. Durante il picco dell’emergenza migratoria, nel 2015-2016, io e alcuni cittadini e cittadine abbiamo iniziato a vedere sempre più persone radunarsi in stazione, spesso in condizioni disperate, cercando di raggiungere il Brennero. Ogni giorno, circa un centinaio di persone – provenienti principalmente dall’Africa, Siria, Iran e Iraq – passavano per Bolzano, molti di loro molto giovani, tra i 18 e i 30 anni. Erano invisibili per le istituzioni, ma non per noi che vedevamo quanto fosse disperata la loro situazione. Così abbiamo iniziato a distribuire cibo e vestiti in stazione, e da lì è partito il progetto Binario 1, il primo nucleo della nostra associazione.
Quali sono stati i primi passi del vostro impegno?
Inizialmente eravamo solo un gruppo di volontari che portava cibo, soprattutto pane e scatolette di tonno, e bottiglie d’acqua. Con il tempo abbiamo capito che serviva di più. Abbiamo iniziato a organizzarci meglio, riuscendo a garantire anche cure mediche e, in alcuni casi, posti letto. In situazioni di emergenza, abbiamo aperto le porte della Chiesa Luterana, offrendo ai più vulnerabili, in particolare alle donne, un luogo sicuro per passare la notte. Con l’aiuto di volontari e donazioni, il progetto è cresciuto. Nell’inverno 2017 abbiamo aperto una grande casa in via Carducci, generosamente messa a disposizione da Heiner Oberrauch, dove abbiamo potuto offrire alcuni alloggi. Così è nata ufficialmente l’organizzazione di volontariato Schutzhütte b1 rifugio.
Come si è evoluto il vostro progetto negli ultimi anni?
Dal 2017 in poi abbiamo ampliato la nostra azione. Ci siamo resi conto che l’emergenza non era solo legata al passaggio delle persone, ma che molte rimanevano bloccate in Alto Adige, spesso escluse dal sistema di accoglienza ufficiale. Abbiamo iniziato a concentrarci maggiormente sulle persone rimaste, fornendo loro non solo un posto dove stare, ma anche supporto concreto per integrarsi nella società: insegnando la lingua, aiutandole a scrivere un curriculum e a cercare un lavoro. In particolare, negli ultimi anni ci siamo focalizzati sulle donne dando vita al Progetto Dorea, dedicato esclusivamente a loro, con alloggi a disposizione per donne sole o con figli. Il nostro obiettivo è quello di cercare di renderle più autonome possibile affinché possano intraprendere una nuova vita dignitosa all’interno della società altoatesina.
Quanta richiesta di aiuto ricevete oggi?
La domanda è altissima, molto più delle nostre capacità. Al momento abbiamo una lista di attesa con oltre 50 donne che cercano un posto nei nostri alloggi. Attualmente gestiamo 2 appartamenti per 6 persone e 5 monolocali destinati a donne con un figlio, oltre a 4 posti letto di emergenza in Chiesa. Tuttavia, sono spesso costretta a ricevere telefonate disperate di donne che cercano un posto sicuro per la notte, e quando non riusciamo a ospitarle, cerchiamo comunque di fare il possibile per aiutarle.
Foto courtesy Schutzhütte b1 rifugio
Come vengono a conoscenza del vostro aiuto le persone che ne hanno bisogno?
Molto del nostro lavoro si basa sul passaparola. Tra le persone in difficoltà c’è una grande solidarietà: chi ha ricevuto aiuto da noi spesso lo comunica ad altri, creando una rete di sostegno informale. Inoltre, spesso veniamo contattati da operatori sociali o altri volontari che ci segnalano situazioni di emergenza.
Quali sono le principali problematiche che affrontano le persone che vi chiedono aiuto?
I problemi sono molti e complessi. Molte persone non hanno un alloggio, non conoscono la lingua e non sanno come muoversi nel sistema legale italiano. C’è anche il problema dell’assistenza sanitaria, in particolare per le donne incinte o con figli piccoli. Offriamo loro un supporto a tutto tondo: dalla ricerca di un lavoro, all’accompagnamento nelle pratiche legali, fino all’assistenza sanitaria. Ma la sfida più grande resta sempre quella di trovare un alloggio dignitoso.
Come vi sostenete economicamente?
All’inizio ci siamo sostenuti principalmente grazie a donazioni private, raccolte direttamente in stazione o tramite la Chiesa Luterana Italiana. In seguito, abbiamo ricevuto fondi dalla Chiesa Luterana nel mondo e, più recentemente, dalla Provincia autonoma di Bolzano e dal Comune di Bolzano. Tuttavia, il nostro lavoro dipende ancora in larga parte dalla generosità di privati cittadini e volontari. Senza questo sostegno, non saremmo in grado di portare avanti i nostri progetti, come per esempio il progetto „HOPE”, cofinanziato dal FSE+ della Provincia Autonoma di Bolzano.
Immagine in apertura: Foto courtesy Schutzhütte b1 rifugio.