Dalla dieta di Ötzi a quella moderna, intervista al ricercatore Frank Maixner
“Noi siamo quello che mangiamo” sosteneva già a metà del 1800 il filosofo tedesco Feuerbach, costringendoci tuttora ad interrogarci sul rapporto che abbiamo con il cibo. Ciò che viene introdotto nel nostro organismo, infatti, non influenza soltanto il corpo, ma anche i processi energetici, psicologici e spirituali.
Della relazione tra alimentazione e salute si occupa anche il nuovo settore Food&Health del NOI Techpark di Bolzano, che mercoledì 24 maggio scorso ha ospitato una serie di conferenze dal titolo “Human Microbiome Symposium”; durante il corso della mattinata, istituti di ricerca altoatesini, strutture mediche e aziende hanno raccontato i propri progetti e presentato i risultati più recenti.
Tra i ricercatori presenti all’evento, anche Frank Maixner, dell’Istituto per lo Studio delle Mummie presso Eurac Research, che attualmente conta 15 collaboratori e collaboratrici tra cui qualche PhD, 14 pubblicazioni su riviste scientifiche e 4 laboratori che si occupano dello studio del DNA antico e del DNA moderno, di antropologia e di conservazione. Da anni, l’istituto si occupa di studiare scheletri e mummie, vere e proprie istantanee dell’antichità e punti di partenza importanti per comprendere meglio il presente. Raggiungiamo Maixner al telefono, per ricostruire la dieta dei nostri antenati, confrontarla con quella moderna e capire in che modo interferisce sulla nostra salute.
Quali informazioni possiamo ottenere dalle analisi paleogenetiche sulle abitudini dei nostri antenati?
Gli studi paleogenetici sulle mummie e sui resti umani scheletrici di diverse zone geografiche e periodi storici forniscono informazioni sulla storia delle popolazioni umane del passato. La ricostruzione delle diete dei nostri antenati e l’analisi di antichi microbiomi umani – compresi gli agenti patogeni nei resti umani mummificati – ci permettono di approfondire lo stile di vita e le malattie che caratterizzavano le società antiche. In generale, l’analisi comparativa di questi dati genomici ci consente di rispondere a domande riguardanti la struttura genetica, l’origine geografica, la storia e i modelli migratori delle popolazioni umane.
E, più nello specifico, sulle abitudini alimentari?
Prendiamo come esempio Ötzi, il nostro uomo venuto dal ghiaccio. Nel suo caso, ci è giunto sia il contenuto dello stomaco che quello dell’intestino basso, permettendoci di indagare sull’alimentazione degli uomini di 5.300 anni fa. Attraverso il microscopio è stato possibile osservare che Ötzi aveva una dieta varia e fortemente fibrosa – carne (prevalentemente essiccata), cereali ed erbe varie – faceva molto esercizio fisico, non era in sovrappeso e non faceva uso di antibiotici o di nicotina: tutto a favore del microbioma. Ma l’indagine non finisce qui: abbiamo poi confrontato la colonizzazione batterica di Ötzi con mummie di altre culture ed epoche diverse; disponiamo infatti centinaia di campioni provenienti dall’Egitto, dall’America centrale e meridionale e dalla Corea del Nord. Dagli isotopi presenti nelle ossa o nei denti siamo in grado dedurre la composizione della dieta – se prevaleva la carne o il pesce, quali tipi di vegetali etc.
Ci sono state sorprese durante le analisi su Ötzi?
Nel complesso abbiamo rilevato alimenti non lavorati – contrariamente a quanto viene servito oggi sulle nostre tavole – ed esempi di prodotti fermentati, ma questo era esattamente ciò che ci aspettavamo. A stupirci, piuttosto, è stato l’utilizzo di un determinato fungo, simile a quello che si trova oggi nel gorgonzola, utilizzato per l’aromatizzazione piuttosto che per la conservazione e proveniente da un ceppo addomesticato, non selvatico. Non sapevamo che, in assenza del sale, gli uomini dei ghiacci avessero pensato a delle alternative per insaporire gli alimenti prima di mangiarli.
Karl Maixner. Foto courtesy Eurac Research
Con quali metodi, tecnologie e strumenti viene svolta la ricerca?
Queste indagini sono possibili grazie all’applicazione di nuove tecniche di sequenziamento del DNA ad alto rendimento e all’arricchimento mirato del DNA; ciò ci permette di ricostruire i dati genomici di popolazioni umane e microbiche ormai estinte. Tuttavia, nel portare avanti indagini di questo tipo c’è sicuramente un grande problema: spesso nei resti non troviamo soltanto i batteri originariamente presenti nel corpo, ma anche quelli che si sono aggiunti più tardi nell’ambiente, per esempio dall’acqua del ghiacciaio. Per non considerare i cambiamenti del microbioma causati dal processo di decomposizione e il materiale spesso molto degradato, in cui il DNA è presente solo in frammenti e in quantità molto piccole.
Dove sta quindi il collegamento tra alimentazione e salute?
Nello studio dei batteri. Oltre al DNA umano, i campioni (pre)storici di scheletro e tessuti molli possono ancora contenere tracce del DNA batterico originale; questo vale sia per il DNA dei commensali umani (ad esempio, i batteri intestinali) sia per il materiale genetico degli agenti patogeni. In questo modo, l’analisi del genoma di antichi patogeni fornisce informazioni sull’insorgenza e la diffusione di malattie infettive croniche come la tubercolosi o la lebbra, e aiuta a identificare gli agenti causali di grandi epidemie umane come la peste. Nel caso di Ötzi poi, l’anno di svolta è stato il 2016, quando il nostro team di ricerca è riuscito a trovare tracce del batterio helicobacter nel suo stomaco. Per la prima volta abbiamo dimostrato che questo batterio accompagna gli esseri umani da tantissimo tempo e scoperto che il batterio presente in Ötzi somiglia ad una variante che oggi si trova principalmente in Asia. Ciò è di grande interesse anche per la medicina moderna, poiché sapere come un tale batterio si è sviluppato e adattato negli esseri umani può fornire spunti per il trattamento.
In conclusione, secondo lei siamo quello che mangiamo?
È davvero difficile dare una risposta precisa a questa domanda. Esiste sicuramente una forte relazione tra l’ambiente e quello che mangiamo (e inaliamo), ed è possibile affermare che l’unica connessione tra il mondo esterno ed il nostro microbioma intestinale è la bocca. È anche importante non tralasciare l’assunzione di medicinali, che insieme all’alimentazione, sono ciò che più influisce sul nostro microbioma. In linea di massima, direi che attraverso questo genere di analisi è possibile identificare la dieta migliore, quella più adatta ai singoli individui, anche se personalmente non credo sia possibile per tutti.
Vittoria Battaiola
Immagine in apertura: foto di ©Ivo Corrà / Eurac Research