Sovranità alimentare all’amatriciana (Bolsonaro style)
Uno dei primi atti del nuovo governo Meloni ha riguardato la ridenominazione del Ministero delle Politiche Agricole in “Ministero delle Politiche Agricole e della Sovranità Alimentare e Forestale”. Talmente strategico per la sovranità nazionale che tanto sta a cuore agli italiani che alla sua guida ci va nientemeno che il cognato del nuovo (nuova? Fate voi, io mi arrendo) Presidente del Consiglio. Considerati i riferimenti storici del nuovo governo, il pensiero di molti è corso all’autarchia, alle inique sanzioni e al caffè di cicoria. Che succederà: qualche ordine prefettizio obbligherà l’espianto di preziosi vigneti e meleti e la loro sostituzione con il grano duro necessario all’italica pasta? Cerchiamo di capirci qualcosa.
Tralasciamo l’aspetto della sovranità forestale, anche perché la cosa mi mette i brividi: è lo slogan usato tipicamente dai Bolsonaro di questo mondo per giustificare i 10 milioni di ettari di foreste primarie – praticamente un’area grande come tutta la superficie forestale italiana – che finiscono in cenere (o in legno, pregiato o meno) ogni anno. Vediamo la sovranità alimentare. A proposito della quale il governo di destra ha trovato sponde anche a sinistra. Dove si è argutamente osservato che si tratta di un concetto/ diritto difeso nientemeno che dalle Nazioni Unite: cosicché il sovranismo alimentare italiano di destra si è trovato improvvisamente e impropriamente a braccetto con le lotte (tipicamente di sinistra radicale, in paesi dove se sei di sinistra rischi la galera) di Via Campesina e altre organizzazioni per la difesa dei diritti sulla terra da parte di popolazioni indigene e di piccoli coltivatori soggetti ad espropri e vessazioni di ogni genere, il più delle volte per destinare la loro terra – nei vari sud del pianeta – per produzioni di pregio destinate a noi ricchi del mondo. Va da sé, niente di tutto questo accade in Italia.
Il neo ministro si affrettava peraltro a chiarire: punto di forza del concetto sovranista sarà la difesa delle produzioni italiane e dell’export agroalimentare (almeno 40 miliardi di euro all’anno, quindi una voce importante nella bilancia dei pagamenti) dalla concorrenza straniera, soprattutto dalle situazioni note come l’italian-sounding: i Parmesan fatti in mezzo mondo, per intenderci, un esempio per i molti che si potrebbero fare. Vivo all’estero dal 1992 e ho spesso pensato che l’Italia dovrebbe mettersi a “fare più e meglio sistema” per difendere la tipicità il suo agroalimentare. Lo fanno tutti i grandi produttori, Francia in testa. Probabilmente il tempo è scaduto da decenni, ma io avrei messo sotto marchio registrato anche il termine «pizza». Impresa meritoria, quindi, la difesa dei brand italiani. Non c’entra nulla con la sovranità alimentare, si tratta di marketing, ma si legge in giro di peggio. Tutto a posto, quindi? No. Anzi.
“La cucina autarchica” di Elisabetta Randi, Firenze, L. Cionini, 1942
Mentre l’attenzione mediatica sull’annunciata sovranità alimentare inevitabilmente scema, le dichiarazioni e iniziative alimentar-sovraniste si susseguono e meriterebbero invece sempre maggiore attenzione. Perché riguardano l’innovazione e la libertà di scelta del consumatore. Insomma, ne va del futuro. Altro che difese dei confini della patria, anzi dell’export, dal Prošek o dal Parmesan. Se agli annunci seguiranno i fatti, l’Italia sovranista rischia di ripiegarsi su sé stessa e di perdere opportunità e anni cruciali. Vediamo un esempio, per tutti.
Una delle prime uscite pubbliche del cognato-ministro è quella di rassicurare il comparto agricolo-industriale della produzione animale (carne, in questo caso) sulla chiusura a quella che lui definisce carne sintetica.
Spiegando la sua opposizione, il ministro adduce addirittura la necessità di tutelare la salute degli italiani. E qui inizio a preoccuparmi: mi ricorda le campagne sui social contro le navi di frumento in arrivo dal Canada (a base di “massima condivisione” e di “noncielodikono”); frumento canadese “tossico” che, senza dati che lo dimostrino, starebbe sterminando gli italiani di cancro (?). Ritorna quindi il discorso, caro a destra come a sinistra, della protezione del prodotto nazionale se necessario anche con argomenti di presunta salute pubblica, quasi dei dazi non-tariffari. La paura del cittadino/consumatore per tutto quello che non capisce è il migliore alleato di qualunque sovranismo (e non solo in campo alimentare). L’ignoranza delle cose fa prendere voti. Magari solo nel breve periodo ma tanti, sempre e dovunque.
Mauro Balboni
Mauro Balboni, laureato in Scienze agrarie all’Università di Bologna, ha lavorato oltre 30 anni nella ricerca e sviluppo della grande industria agrochimica, la maggior parte dei quali come dirigente con responsabilità europee e globali. Ha vissuto a Milano, Bologna, Vienna, Oxford, Zurigo. Oggi risiede tra la Svizzera e il lago di Garda, dove ha trovato la sua vera life mission, quella di conservare un biotopo di prati magri e i suoi legittimi residenti: le “carote ametista”, le cavallette dalle ali blu, le api, le farfalle e le orchidee rare. Dal 2017 scrive sui temi della sicurezza alimentare globale e dell’impronta del cibo sulle risorse e gli ecosistemi, prima con “Il Pianeta mangiato” e ora con “Il pianeta dei frigoriferi“. Nel resto del suo tempo gira l’Europa con il camper, a piedi o in bicicletta anche alla ricerca di agricolture e di cibi presenti, passati e futuri.