"La moda non è solo estetica, ma politica". La Slow Fashion secondo Susanne Barta

Bolzano. “Non credevo che mi sarei occupata di moda, è il tema che, piano piano, è arrivato a me. Mi interessavo di politica, arte e cultura, e sapevo che il settore dell’abbigliamento era problematico, ma mi dicevo be’, non sarà così grave. Poi ho iniziato ad approfondire temi legati all’industria tessile e ho avuto una specie di illuminazione, ho iniziato a ricercare come giornalista e parlare con le persone. E ho capito che stava succedendo qualcosa di veramente grande”.
Così la giornalista Susanne Barta ripercorre l’inizio del suo impegno nel campo della Slow Fashion, la moda sostenibile. Con respiro internazionale e voce umana, da oltre cinque anni Barta racconta ogni settimana le persone, gli incontri, le realtà e le tendenze del mondo Slow Fashion nel suo blog dedicato, ospitato anche da Franzmagazine. Sempre col sorriso e un certo humor –“non bisogna mai perdere il buonumore”, ci dice – anche quando tratta temi “tosti”. Ma non solo. “Investo molta energia nel community building. Anche se qui in Alto Adige non è facile e le realtà sono poche, in questi anni qualcosa si è mosso e si sta creando una rete”. Rete con cui Barta è riuscita a portare tre edizioni della Greenstyle home of sustainable fashion di Monaco alla fiera Biolife di Bolzano, sviluppando poi un focus Slow Fashion Südtirol , mentre l’evento Fashion for Future, in collaborazione con l’Università di Bolzano e OEW, Rete delle Botteghe del Mondo dell’Alto Adige, festeggerà il prossimo aprile la sua terza edizione. La incontriamo in una fredda mattina di febbraio per farci raccontare del suo instancabile impegno tra moda e sostenibilità.

Vertigine: è questa la sensazione che si prova quando si leggono i dati sui rifiuti e l’inquinamento provocato dall’industria tessile…

Si, è un tema molto complesso, non ci sono risposte semplici e non esiste solo un’unica via verso una moda sostenibile. L’industria tessile è ancora poco regolamentata e basata sullo sfruttamento sia dal punto di vista sociale che ecologico. Inoltre, la strada è lunga e difficile, e il quadro politico che, ovunque si guarda -o quasi- si è spostato verso destra, sta frenando questo processo. Ma a lungo termine non possiamo fermare questo processo: tutto quello che facciamo ha delle conseguenze e questo ci obbligherà a fare le cose diversamente.

I negozi e siti online ci propongono in continuazione nuove cose da comprare, eppure secondo alcune stime con i vestiti che esistono già si potrebbero vestire intere generazioni …

Sono sempre cauta con i numeri, perché tendono a semplificare troppo e non esistono dati precisi, ma si, è attestato che ogni anno vengono prodotti più di 100 miliardi di vestiti – se basterebbero a vestire due, tre o cinque generazioni…be’ non fa molta differenza. È semplicemente troppo. Produciamo troppo, consumiamo troppo e gran parte di questo troppo finisce nei rifiuti. I problemi che creiamo sono (scandisce) e-nor-mi. Perciò qualsiasi contributo che possiamo dare per consumare meglio e produrre meno è importante.

Guardando alla situazione attuale, si sente tanto parlare di crisi nel settore dell’abbigliamento, eppure nell’ultimo rapporto annuale di Business of Fashion (BoF) e McKinsey, di cui tu hai parlato in uno dei tuoi ultimi articoli, i profitti dell’industria tessile sarebbero aumentati del 16% tra il 2022 e il 2023.

Si, ma le aziende che guadagnano molto sono anche quelle che si comportano peggio – il settore dell’ultra fast fashion ha guadagni enormi. Ma la crisi climatica non aspetta. E gran parte della produzione si trova proprio in paesi colpiti dalla crisi climatica.

Tu sei stata recentemente in Uganda per uno “Slow fashion tour” e hai raccontato delle difficoltà per le aziende locali a organizzare un proprio commercio, anche a causa del trasporto delle merci, che hanno costi elevati.

Si, c’è una questione dei trasporti e anche del sistema di tassazione, ma, semplificando, il punto è che questi paesi sono stati a lungo sfruttati come fornitori di materie prime e fanno fatica a fare il passo successivo, ad es. con lo sviluppo prodotti che permetterebbero di guadagnare meglio. Come noto, la Cina si sta comprando mezza Africa, è una nuova forma moderna di colonializazzione … come ripeto spesso, la moda non è solo una questione di estetica, la moda è molto politica.

Susanne Barta durante con la Eco Fashion Designer Sharon Anena durante il suo Fashion Show a Gulu/Uganda. Foto courtsey S. Barta

Certo, ma c’è anche un aspetto sociale e psicologico di cui tenere conto. I feed personalizzati, web e social ci espongono a un bombardamento continuo, che forse – parlo soprattutto per la generazione X- affrontiamo ancora con una mentalità anni novanta e duemila, in cui le risorse e la crescita sembrano non dover finire mai…

Anche questo è un tema complesso, bisogna tenere conto che l’industria della fashion investe molti soldi nel marketing – costi che poi ricarica sui prezzi che paghiamo per i vestiti. La nostra conditio humana è oggetto di studio da parte degli strateghi del marketing e la psicologia della fashion sta diventando sempre più importante.

Insomma, non c’è scampo.

E’ difficile sottrarsi a questo sistema: viviamo in un mondo capitalista, dietro a cui un’industria con strategie perfide e sottili ci suggerisce in continuazione che devi comprare per essere al passo coi tempi e non sembrare vecchia, per avere successo, per essere attraente e sexy … per me è un abuso della nostra dimensione umana, in realtà.

Guardando all’Alto Adige, terra di benessere, che atteggiamento riscontri verso la moda sostenibile e l’usato? Forse rispetto ad altre realtà urbane c’è ancora un certo conservatorismo e diffidenza verso il second hand.

Certo, ci sono le persone che pensano così, per cui comprare vestiti nuovi è scontato, ma altre che si rivolgono sempre di più al second hand e al vintage, che è diventato un modo per comunicare un certo approccio. Attraverso i vestiti si comunica cosa si ha, chi si è o chi si vorrebbe essere, ma passano anche altri messaggi, come i valori che stanno dietro le nostre scelte. E questi possono emergere in maniera più o meno positiva.

Eppure, la moda è anche divertimento e gioco, come ricordi tu stessa …come orientarsi in questa giungla?

Credo che tutti siamo responsabili, ma non ha senso flagellarsi. Penso sia importante rimanere padroni di sé stessi (Selbstführung), anche come consumatori, come ho scritto di recente. L’importante è sapere che possiamo fare meglio o molto meglio e non nascondersi dietro alla rassegnazione, pensando che tanto non serve a nulla. Spesso è una questione di sapere chi si vuole essere veramente, cosa si vuole esprimere …è un lavoro da fare su sé stesse. Fashion è anche wellbeing e le cose si possono cambiare anche in maniera rilassata e rilassante pensando a cosa ci far star bene, invece di comprare in continuazione nuovi vestiti. È quello che cerco di trasmettere anche nella mia attività come coach e consulente.

Susanne Barta, con un look composto interamente da capi di abbigliamento e accessori second hand

Il tuo blog ha compiuto cinque anni l’anno scorso… quali le difficoltà più grandi che hai incontrato in questi anni?

È un lavoro pionieristico, è un settore in cui i mezzi sono pochi e si fa fatica… vedo che le aziende che provano a lavorare meglio e in maniera sostenibile spesso si trovano in difficoltà, purtroppo. Per il blog, uno degli obiettivi è trovare fonti di finanziamento trasversali. O anche non trovarli perché è un lavoro che va fatto e basta! (sorride)

Quando descrivi il tuo lavoro parli di curiosità, ma anche di disciplina.
Si perché gran parte del lavoro non è retribuito e serve molta disciplina per non mollare. Anch’io ho i miei alti e bassi, ma l’interesse e l’entusiasmo per la tematica sono più forti… non bisogna mai perdere il buonumore. E anche se a volte lo perdo, poi ritorna sempre!

Caterina Longo

 

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