Kompatscher alla resa dei conti: «Non faccio la foglia di fico dell'Svp: siamo il partito di raccolta, non delle lobby»
L’intervista che segue è un “bis“, in perfetta connessione con il titolo di questa rubrica. La “prima” non aveva soddisfatto nessuno, né l’intervistato né l’intervistatore e per questo si è preferito non scriverla e ripeterla a tre mesi di distanza. Scelta rivelatasi particolarmente azzeccata, perché se nella prima intervista il presidente Arno Kompatscher era apparso stanco, forse addirittura isolato, nella seconda è apparso in ottima forma, pieno di energia e decisamente “sul pezzo”. Ma nelle settimane tra la prima e la seconda intervista sono accadute diverse cose.
Per esempio, il Landeshauptmann non ha sciolto il nodo relativo alla sua ricandidatura, ma qualunque scelta prenderà, risulta evidente che farà di tutto per risolvere quelle questioni che lo hanno spinto a dichiarare che si sarebbe ricandidato solo dopo che si fosse fatta chiarezza su certi comportamenti dell’Svp. A questo proposito, non si poteva non chiedere se i due anni di pandemia e la rapidità dei cambiamenti sociali imposti dalla globalizzazione non stessero facendo perdere al partito di maggioranza il tradizionale controllo del territorio. La risposta è la dimostrazione di quanto la chiarezza sia diventata importante per il presidente Kompatscher: «Io credo che il problema sia un altro. Credo che il mio partito rischi di essere identificato troppo e quasi come quello dei contadini, degli albergatori e di certe precise lobby, ma la realtà è molto diversa. Gli osservatori più attenti credo abbiano compreso come ci sia anche qualcuno che, con la scusa di proteggere le tradizioni, protegge un mondo che non esiste più per tutelare interessi di lobby precise o per interessi personali. Io sono convinto che bisogna proteggere le tradizioni, ma non se vengono utilizzate in maniera strumentale. L’Svp è il partito dell’Autonomia e dobbiamo tutelare tutti i nostri elettori e tutti i cittadini, non solo una parte».
Un esempio per essere ancora più chiari?
«La legge sulla nuova tassazione degli immobili, l’Imi. Era una scelta ampiamente condivisa, ma poi è arrivato il No di chi sostiene che quella legge castighi il nostro elettorato. Personalmente, però, non credo che il nostro elettorato sia formato solo da chi possiede due case di cui una non occupata. Se fosse così ci voterebbero davvero in pochi. Se veniamo identificati solo con una determinata categoria di persone siamo destinati a scomparire. A questo proposito, sia chiaro che io non faccio la foglia di fico di nessuno, non presento l’Svp come partito di raccolta se non lo siamo più. Credo che l’80% dell’Svp la pensi come me, c’è qualche problema in più nei vertici, ma sono ottimista».
La “vicenda Sad” potrebbe essere un altro esempio?
«E’ solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso ma il problema è più vasto. La stragrande maggioranza del partito è composta da persone che vivono, operano e tutelano il territorio con cui si identificano. Purtroppo, c’è una parte minoritaria che è stata logorata dal potere e ora prova a continuare a soddisfare i propri interessi economici con logiche ormai superate».
Il settimanale FF ha anche mostrato il contesto in cui si è arrivati alla formazione della Giunta nel 2018…
«Sono vicende che vanno chiarite. È legittimo lavorare per ottenere certe posizioni di potere al fine di seguire il proprio progetto politico. Ed è anche e senz‘altro legittimo essere contrari alle scelte del presidente designato e proporre delle alternative per la composizione della giunta. Ma qui c’è il sospetto che qualcuno volesse influire su certe scelte utilizzando il proprio ruolo e la propria posizione all’interno del partito per fini e interessi meramente privati. Se fosse stato davvero così, sarebbe gravissimo. Ho chiesto al mio partito di fare assoluta chiarezza, anche per ripristinare i rapporti di fiducia e coesione che sono necessari per potere governare bene».
Tornando all’Autonomia, non teme che alcune rigidità imposte dalla gestione delle questioni etniche possano rallentare la capacità di governance del territorio? Ma soprattutto, non vede il rischio che le questioni che intaccano il modello autonomista non vengano affrontate e si provino a rimandare all’infinito?
«È vero che gli strumenti che tutelano i gruppi linguistici a qualcuno possano sembrare superati. Sono stati elaborati negli anni Sessanta, quando i gruppi linguistici presenti sul territorio erano solo tre. Ora la realtà è molto diversa, visto il numero di cittadini con background migratorio e i ragazzi di seconda generazione che abitano in Alto Adige. Ma io credo che gli strumenti a disposizione si possano adeguare e siano stati già adeguati senza stravolgere il modello. I cambiamenti degli anni Novanta hanno trasformato la dichiarazione etnica in uno strumento che è soprattutto di monitoraggio ed è più una dichiarazione di volontà che di vera appartenenza».
E’ molto cambiato anche il mondo del lavoro, certe tutele sembrano superate.
«E’ vero, oggi si fanno bandi sperando che almeno qualcuno partecipi, al di là della rispettiva appartenenza a uno specifico gruppo linguistico. Ma anche questo non significa che il modello sia superato, anzi. Come ho ribadito al Forum sulle minoranze dell’Onu, il nostro modello di Autonomia ha funzionato, ci ha permesso di superare decenni di tensioni e credo sia meglio tenerlo in vita per evitare che un domani si ripresentino problematiche che, come dimostra la guerra in Ucraina, sono sempre pronte a riesplodere. Detto ancor più chiaramente: credo, che l’Autonomia si basi su un sistema di garanzia che ritengo ancora utilissimo».
Le questioni etniche non sono più così importanti?
«Non credo che oggi siano le più sentite dalla società, proprio perché ci sono questi sistemi collaudati di protezione e monitoraggio che danno le garanzie. La discriminazione più rilevante oggi riguarda chi ha reddito e chi non ce l’ha, e le opportunità differenti per chi proviene da un contesto sociale ricco o povero. Da questo punto di vista, l’Autonomia ci permette di intervenire meglio e credo che molto sia stato fatto, ma tanto ci sia ancora da fare».
Sulla società siamo d’accordo, ma la politica?
«Non credo che l’Svp si sia fossilizzata su questi temi. Anzi, veniamo criticati proprio perché qualcuno ritiene che siamo troppo concentrati sulla gestione del territorio, sull’amministrazione, dimenticando che siamo un partito identitario. Noi, crediamo, invece, che le gestioni identitarie siano gestite al meglio grazie all’Autonomia e possiamo quindi gestire l’amministrazione nel migliore dei modi dimostrando che siamo più bravi di altri».
E al di fuori dell’Svp?
«Ci sono partiti che utilizzano le questioni identitarie perché campano di questo. Ma sono due partiti precisi: uno per gruppo linguistico, che si danno una mano a vicenda nel trovare ogni polemica che riporti la discussione alle questioni etniche. Non sono premiati dall’elettorato, ma riescono comunque a conquistare grandi spazi sui giornali. Credo che il mio compito, invece, sia quello di dimostrare come le regole che abbiamo istituito funzionino e che le minoranze sono garantite. Quindi possiamo occuparci con maggiore impegno di altre questioni. Al momento, per esempio, siamo impegnati a controbattere le politiche centraliste del governo italiano che sta asfaltando tutte le autonomie territoriali compresa la nostra. I rappresentanti politici del governo ci dicono che abbiamo ragione da vendere, ma i funzionari nel frattempo smantellano gli accordi. Il Pnnr è uno straordinario strumento ma ha una gestione centralizzata che parte dal presupposto facciamo noi per voi. Capisco che ci siano amministrazioni in alcune parti del paese che vengano considerate non in grado di utilizzare questi fondi, ma non è una critica che si può fare a noi».
Pandemia a parte, il tema su cui si vincono e perdono le elezioni in mezzo mondo è quello dell’immigrazione. Un immigrato di origine indiana mi faceva notare che spesso si sente come l’ospite che entra in casa di due che litigano e che non riesce a farsi ascoltare…
«E’ un tema che riguarda tutta Europa e non solo. Non credo che le questioni etniche locali abbiano influito e, come tutti, abbiamo sicuramente commesso degli errori. Sul tema dell’immigrazione, il benaltrismo funziona benissimo, “Aiutiamoli a casa loro etc” belle parole senza sostanza. Occorre intervenire in maniera diversa e senza pregiudizi e lo faremo pur sapendo che l’immigrazione si gestisce soprattutto con normative nazionali».
Massimiliano Boschi