Tra oceani e pozzanghere. “The Poetry of Translation” a Kunst Meran Merano Arte fino al 13 febbraio
Raccontare attraverso l’arte un tema complesso come quello della traduzione: è quanto si prefigge la casa d’arte di Merano con i lavori di oltre trenta artisti e artiste nella mostra “The Poetry of Translation”, la prima firmata dalla direttrice artistica Judith Waldmann. Un’impresa ardua quanto affascinante quella di avventurarsi nelle acque indefinibili della “poesia della traduzione”, acque che in mostra prendono le forme di oceani poetici in opere leggiadre e sinestetiche, mentre in altri momenti rischiano di ristagnare nelle pozze della storia e degli orizzonti locali. In cui, è noto, la lingua è parte di un’ampia heilige Sippe identitaria, parente prossima di temi come la toponomastica, “patata bollente” di un tragico passato, minestra troppo spesso riscaldata.
In questo senso, una delle sezioni iniziali è dedicata alle vicende dell’ex Monopolio di Bolzano e al riadattamento da parte del regista viennese Götz Frisch in versione trilingue – italiana tedesca e ladina- dello spettacolo “Teste tonde e teste a punta” di Bertold Brecht. Era il 1980 e allora fece grande clamore. Momenti di storia locale che, secondo la curatrice, sono una premessa necessaria “Con tre lingue ufficiali, in Alto Adige la traduzione fa proprio parte del Dna del territorio. Per noi è stato importante includere questo momento speciale del monopolio nel quale i diversi gruppi linguistici si sono riuniti in un tempo politicamente molto acceso per l’Alto Adige. Questa unione ha scatenato un’enorme energia e creatività”.
Riferimenti alle gabbie etniche, controbilanciate in mostra dalla storia e dalla documentazione di lingue artificiali dalle aspirazioni universalistiche come l’esperanto, il volapük e il klingon, di cui si possono ascoltare anche traccie audio.
Il percorso espositivo prende il volo, a nostro avviso, quando cambia registro e lascia gli ormeggi della lingua per abbandonarsi alle suggestioni del linguaggio, dimentica le opache questioni territoriali e si apre alle contaminazioni.
Quando insomma “tradisce” il tema della traduzione e i suoi intenti in senso letterale. Scorre un’energia non verbale nel video “Answer Me” di Anri Sala, in cui è il suono, come tipico di molte opere dell’artista albanese, a farsi intenso portatore di messaggi, presenza sculturale: una lei cerca risposte, che lui affida allo sguardo e al suono ossessivo della batteria. La traduzione è intesa come codice personale nelle sottili partiture tracciate dall’artista Jorinde Voigt, che ha “trascritto” in un suo vocabolario visivo le 32 sonate di Beethoven.
Nel video dell’artista tedesca Annika Kahrs un pianista esegue, in un elegante interno storico, la composizione per pianoforte di Franz Liszt “Leggenda di San Francesco d’Assisi che predica agli uccelli” davanti a un pubblico di uccelli canori. Un incontro tra universi acustici – quello animale e quello artificiale- capace di immergerci in dimensioni sospese e poetiche. Se la traduzione va intesa nella sua radice etimologica “far passare da un luogo all’altro” allora vale anche lasciarsi portare dai territori della parola a quelli dell’immagine, in cui i confini tra leggibile e visibile si fanno fluidi. Una partita, quella tra parola e immagine, a cui una moltitudine di artisti ha giocato e ancora gioca dal XX secolo in una lunga tradizione, da Duchamp a Magritte fino a Jenny Holzer e molte altre.
Ben Vautie “Ethnies en lutte” 1979-1990 Kunst Meran Merano Arte
Tra le tante esperienze, la mostra ha scelto di puntare l’attenzione sulla poesia visiva e concreta degli anni ’60 e ’70 e in particolare al gruppo di artiste riunite da Mirella Bentivoglio per la mostra “Materializzazione del linguaggio” ai Magazzini del Sale nel 1978. Una sezione storica, che attinge in parte all’Archivio di Nuova Scrittura di Museion e, pur non essendo nuova, risulta come un nucleo coerente in mostra. Sanno ancora sorprendere i cortocircuiti semantici delle fotografie di Lenora Barros, che con la lingua lecca i tasti della macchina da scrivere o il corpo che prende forma di lettere nel celebre “Alfabeto vocalico” (1975) di Tomaso Binga. Gli fa eco, più avanti nel percorso, il manifesto “Found Dance All!” del collettivo Kinkaleri, con le indicazioni di un alfabeto del corpo per una personale danza, e di cui il pubblico può portare via una copia. Ma tutti sono invitati anche a dare un proprio contributo e portare un oggetto personale associato alla traduzione, che viene poi esposto in una vetrina dedicata. All’inizio della mostra -che in ogni comunicazione si mostra attenta al linguaggio di genere e inclusivo- la segnaletica a terra di Michele Galluzzo e Franziska Weltgruber invita invece a far attenzione “Mind your language”. Anche se, citando Valèry, ci piace ricordare che “il linguaggio dell’arte non è un modello di precisione: agli artisti basta capirsi giusto quel tanto per non intendersi”.
Caterina Longo
Kunst Meran Merano Arte
Portici 163, Merano
Martedì-Sabato: 10-18
Domenica e festivi 11-18
fino al 13.02.2022
In uscita a dicembre 2021 un volume sulle opere in mostra edito da Mousse Publishing
kunstmeranoarte.org
Immagine di apertura: Mirella Bentivoglio “Spara sulla parola” 1991 Kunst Meran Merano Arte