Traduzione, vantaggi e limiti dell'Intelligenza artificiale. Intervista a Donatella Trevisan
Bolzano. Il 30 settembre si celebra la Giornata internazionale della Traduzione. Una buona occasione per interrogarsi sullo “stato di salute” della traduzione ai tempi di ChatGPT e soprattutto per chiedersi se l’Intelligenza artificiale sia destinata a sostituirsi a traduttrici e traduttori in carne ed ossa. Anche considerato che, secondo una spesso citata ricerca della società Gartner, si stima che entro il 2025 il 25% dei traduttori lavorerà esclusivamente su testi pre-tradotti dalla traduzione automatica. Ne abbiamo parlato con Donatella Trevisan, traduttrice letteraria con un dottorato in neurobiologia sui meccanismi cerebrali del linguaggio in soggetti bilingui – il discorso si è quindi inevitabilmente esteso alla situazione sull’apprendimento delle lingue e sulla scuola in Alto Adige.
Domanda banale, ma d’obbligo parlando di traduzione oggi: come è cambiato il ruolo di chi traduce, considerato che l’Intelligenza artificiale ha rivoluzionato il settore, con strumenti e banche dati ormai diffusissimi, basti pensare a DeepL…
Si, c’è stato uno sviluppo molto rapido e oggi sono possibili cose che fino a dieci anni fa erano impensabili. Direi che c’è stata un’inversione: se i primi strumenti assistevano e aiutavano chi traduce, ora abbiamo il processo inverso, chi traduce aiuta la tecnica, perché è lei che esegue la maggior parte del lavoro. Ma per capire come si è evoluto il settore vorrei prima fare una piccola cronistoria, perché la ritengo interessante.
Prego.
La figura dell’interprete e la traduzione simultanea, quella che si fa(ceva) nelle cabine ad es. degli organismi internazionali e ora fa Google Translate nasce con i processi di Norimberga nel 1945, quando venne chiesto all’IBM di trovare una soluzione per garantire ad accusa e difesa di seguire i dibattimenti in tempo reale. Per tutti gli anni ‘50 e ‘60 e fino ad inizio anni ’70 l’IBM ha poi lavorato per sviluppare un sistema di traduzione informatico basato sull’analisi linguistica e la struttura profonda della lingua, ma fallendo. Si è riusciti a fare il salto solo quando si è cambiato approccio, grazie alle banche dati di parole, testi e traduzioni e potenti strumenti di statistica. I nuovi sistemi sono sempre più capaci e veloci, e se prima traducevano solo testi scritti, ora sono anche in grado di interpretare e tradurre i testi parlati, e questo è stato un importante progresso.
Ma quindi il lavoro delle traduttrici e dei traduttori è destinato ad essere interamente soppiantato da questi nuovi strumenti e dall’Intelligenza artificiale?
Occorre distinguere, ci sono campi in cui la traduzione umana diventa imprescindibile, come i testi poetici, letterari o artistici, mentre il discorso cambia per i testi scientifici.
Come mai?
In un testo tecnico ci sono meno possibilità di divergenze tra i termini, mentre su testi letterari e poetici lo Spielraum, il margine, è molto, molto più grande. Per comprenderlo bisogna tenere presente che in linguistica esistono due ambiti semantici, uno denotativo, relativo al significato letterale delle parole, ed uno connotativo, che è quello che va oltre il significato strettamente letterale, come appunto avviene nella letteratura, nella poesia o nell’arte. I linguaggi scientifici e tecnici tendono ad essere denotativi, quindi a muoversi dentro i significati letterali delle parole: sono quindi più facilmente traducibili, perché non c’è una parola da interpretare, ma una terminologia da applicare.
Cosa che invece cambia per i testi non scientifici…
Esatto, con i testi letterari e poetici, che hanno una componente del significato connotativo, le macchine fanno fatica a estrarre e capire la traduzione, perché il significato è legato alla cultura, al contesto ed aspetti anche extra linguistici, che nella lingua trovano uno strumento, tra i tanti possibili, attraverso cui si esprimono. Se in ambito scientifico viene introdotta una nuova parola quando ci sono nuove “cose” o teorie, ovvero se la realtà si amplia, nel linguaggio artistico, letterario e anche pubblicitario si ha a disposizione una capacità intralinguistica di andare in profondità ed espandere significati rispetto all’esperienza umana. Questa ambiguità si può sfruttare per dire cose nuove, e se la traduzione è fatta bene, riesce a restituirla.
Insomma, l’Intelligenza artificiale non può fare tutto…
La traduzione della letteratura e di testi letterari dà la possibilità di accedere a una cultura e una visione delle cose che apre a nuovi orizzonti, e se chi traduce lo fa nel modo giusto, allora riesce nell’operazione difficile di trasportare un mondo. Per fare un esempio concreto e molto citato, nell’Inuit ci sono tantissimi termini per definire i tipi di neve e se nella nostra lingua non esiste il corrispettivo ti devi sforzare, nel tradurre, per descrivere un certo tipo di neve, devi aggiungere qualcosa, e guardare quindi alla realtà in modo più dettagliato e preciso.
A proposito di culture e orizzonti, come stanno le lingue in Alto Adige?
Né meglio né peggio che nel resto del mondo, molto è legato alla curiosità che le persone possono più o meno avere. Qui da noi c’è un fattore favorevole, ovvero la possibilità di entrare presto in contatto con l’altra lingua anche se si proviene da un nucleo famigliare monolingue. È un aspetto che avvantaggerebbe, ma il fatto dell’obbligo, di istituzionalizzare l’apprendimento, è un qualcosa che ostacola. Sappiamo dagli studi di neurobiologia che l’apprendimento è favorito se lo si fa con piacere, mentre se ti viene imposto viene ostacolato.
E ciclicamente ritorna la discussione (e le relative polemiche) sul modello scolastico altoatesino, come di recente con la scuola tedesca Goethe..
Qui in Alto Adige avremmo la possibilità di creare molte più strutture in cui si viene a contatto in modo precoce con la lingua, rendendo molto più facile e naturale impararla. È una questione di plasticità cerebrale, nei primi 5-7 anni di vita dell’essere umano ci sono circuiti slegati dalla consapevolezza e che creano una specie di hardware, rendendo molto più immediato l’apprendimento della lingua, che invece più tardi avviene per altre vie e altri meccanismi. Ma è una questione politica, come ben sappiamo la situazione è quella che è – le scuole ladine con il plurilinguismo sarebbero un esempio positivo.
Doversi confrontare con chi non parla bene la tua lingua può portare ad un impoverimento della propria lingua madre?
Comunicare con qualcuno che non conosce bene la tua lingua può essere un esercizio utilissimo. Qui da noi c’è un irrigidimento intoccabile su un modello, mentre la realtà si modifica, le lingue stesse si modificano. Nella storia dell’umanità è sempre stato così. La realtà è che la composizione sociale è cambiata e c’è una buona fetta della popolazione che di lingue ne parla tre o quattro, abbiamo bambini poliglotti, con genitori ad es. cinesi che parlano tedesco e italiano e inglese e a cinque anni sanno più lingue.
A proposito di mondi che entrano in contatto, l’Alto Adige avrebbe tutte le potenzialità per svolgere un ruolo centrale per la traduzione letteraria essendo una terra multilingue, ma in cui tutto sommato la traduzione è ancora molto istituzionalizzata e burocratizzata…
Proprio per questo è nato ZeLT, il Centro Europeo di letteratura e traduzione a Bressanone con l’intento di mettere al centro la lingua come strumento non denotativo ma connotativo, come abbiamo spiegato prima…uno strumento attraverso cui avviene un interscambio tra culture e quindi la traduzione è vista non solo come mezzo di comunicazione, ma come allargamento degli orizzonti. Uno dei nostri obiettivi sarebbe quello di creare un’offerta formativa per traduttori e traduttrici letterari.
Lei fa la traduttrice da molti anni, la fiamma è ancora viva?
È vivissima, ho la grande fortuna che con una madre di lingua tedesca e un padre italiano sono sempre stata immersa in entrambe le realtà profondamente, sia come percorso scolastico che contesto, e questo è un vantaggio enorme. Poter leggere in due lingue e in lingua originale autori e autrici è stato un grande vantaggio, e poi per me la lettura e la letteratura sono stati gli strumenti di liberazione per immaginare un’altra possibile realtà e tracciare un mio Lebensentwurf, un progetto di vita. È sempre bellissimo quando sei vis-à-vis, concretamente di fronte ad una persona, e traduci una frase e ti capisce. La soddisfazione di una comunicazione umana che riesce è un’esperienza completamente diversa da Google Translate.
Donatella Trevisan, originaria di Bolzano, è una traduttrice letteraria. Dopo la laurea a Trieste ha proseguito gli studi a Tubinga. Nel 2005 è stata cofondatrice del collettivo femminista “Tanna”, con cui ha pubblicato due volumi della serie ”Donne di frontiera/Frauen der Grenze”. È tra le co-fondatrici di ZeLT, il Centro Europeo di letteratura e traduzione a Bressanone.
Caterina Longo
Immagine in apertura: Donatella Trevisan. Foto Manuela Tessaro