Un bellissimo crogiuolo, tra fede nel teatro, cannibali e forchette
- “Non si dice quel che si pensa davanti al Signore”
Le recensioni di Bis. Arthur Miller scrive “Il crogiuolo” nel 1953 durante e sul Maccartismo, ma decide di ambientarlo a Salem, nel Massachusetts del 1692, nel periodo della caccia alle streghe. Il drammaturgo newyorchese ci sprofonda, così, in una società formata da “uomini che non hanno il coraggio di combattere per liberare l’umanità dall’ignoranza”, personaggi che preferiscono adattarsi alle circostanze finendo inevitabilmente per crearle. Un mondo in cui tribunali formati da soli uomini condannano donne innocenti utilizzando i testi sacri come clave. Mentre chi vive di risentimento, odio e vittimismo, trova facile rifugio e nascondiglio sotto una bandiera, che sia a stelle e strisce o di tre colori, non è così importante.
Lo spettacolo di Filippo Dini
Nel “suo” crogiuolo, Filippo Dini rispetta minuziosamente lo splendido testo di Miller e, in mezzo a dichiarazione di fede spesso false e strumentali, ne mette in scena una, sincera e autentica, nei confronti del teatro. Gli bastano pochi precisi accorgimenti per rendere un magistrale classico ancor più contemporaneo e diretto. La regia corale è pressoché perfetta e mette in campo una squadra di bravissimi attori che giocano scioltamente “di prima” permettendo al dramma di Miller di andare a segno nel con grande facilità e nel migliore dei modi. (Menzione speciale a Nicola Pannelli)
Sul palco, Dini interpreta uno straordinario Proctor, un personaggio che Miller delinea con poche efficacissime parole: “Alla presenza di Proctor, un imbecille si sentiva imbecille subito, ragion per cui un uomo come Proctor era destinato ad essere oggetto di calunnie”.
Ad Arthur Miller, ovviamente, capitò spesso, ma, per fortuna, i calunniatori di ieri sono oggi innocui recensori che si limitano a dargli dello “scrittore semplicista”. Perché nulla è semplice e univoco nel testo di Miller, quasi tutti i personaggi incarnano vizi e virtù e, al termine della visione di uno spettacolo ambientato oltre tre secoli fa, vien da chiedersi, con Karl Kraus, se può considerarsi progresso un cannibale che mangia con la forchetta.
La risposta è decisamente affermativa, anzi si potrebbe dire che la forchetta è l’essenza del progresso del cannibale. E’ sufficiente guardarsi intorno, gli psicofarmaci hanno sostituito i manicomi, Guantanamo non è Auschwitz, Satana è vecchio e stanco, non alberga più nel ballo, ma nel porno in rete e chi espone rane crocifisse viene licenziato, non più impiccato. Vivaddio i cannibali hanno smesso di mangiare con le mani.
Massimiliano Boschi
“Il crogiuolo” fino a domenica 30 ottobre 2022 al teatro comunale di Bolzano