Brennero, il confine che lascia passare e non ascolta sovrani, dittatori e presidenti

Ritorna Alto Adige Doc, dopo la pausa estiva. La rubrica di Massimiliano Boschi, diventata anche un libro, (e qua lo si può scaricare) è ripartita dal confine – geografico – del Brennero. Un confine «indefinito»: per chi volesse leggere la prima parte del reportage, prima di immergersi nella seconda, ecco il link: https://www.altoadigeinnovazione.it/viaggio-al-brennero-i-centanni-del-cippo-dimenticato-in-un-confine-indefinito/

Il cippo confinario del Brennero venne inaugurato il 13 ottobre 1921 alla presenza del re Vittorio Emanuele III che giurò solennemente “Per tutti, per i nostri morti, per i nostri discendenti, che questo Passo sarà eternamente nostro“.

Riesco a scorgere il novantanovenne fittone di marmo solo grazie al grande tricolore che gli sventola sopra. Sto camminando sul marciapiede che costeggia l’Outlet e intravedo solo una parte del cippo perché un gruppo di ciclisti sta sostando proprio davanti, impallandomi la visuale. A fianco, a un paio di metri di distanza, è parcheggiata un’auto tedesca con targa italiana, dall’altro lato, alla stessa distanza, fa bella mostra di sé il cartello pubblicitario di una pizzeria. Saranno “eternamente nostri” anche il parcheggio e la pizzeria?

Si potrebbe discutere a lungo sul valore di quel giuramento, ma lo si faccia prestando la dovuta attenzione ai dettagli. Quel giuramento, infatti, riguarda il “passo” e non il “confine” ed era inevitabile. Perché il Brennero è, ed è stato, innanzitutto un luogo di passaggio, un corridoio. Lo è da secoli ed e continua a esserlo nonostante le barriere, i controlli, i giuramenti di ieri e la propaganda di oggi.
Prima di dimostrarlo, due parole sul contesto sulla solenne inaugurazione dell’ottobre del 1921. Circa sei mesi prima, il 24 aprile, a Bolzano, era stato assassinato dai fascisti Franz Innerhofer, maestro di Marlengo. Ucciso in occasione di quella che passò alla storia come la “Bozner Blutsonntag”, la domenica di sangue. Due mesi dopo, a giugno, anche alla luce di quei fatti, il Parlamento italiano, non ancora fascista, dibatteva del “problema delle autonomie”.

Due anni dopo, il 17 ottobre 1923, in un articolo su “la Stampa” Guglielmo Pacchioni scriveva parole che, quelle sì, andrebbero ricordate: “A guerra vittoriosamente finita, la materia toponomastica deve da noi essere ripresa in esame con criteri più obbiettivi e pratici di quelli seguiti durante la guerra. Ogni esagerazione polemica, ed ogni passione nazionale deve ora essere evitata : oggi che i luoghi fanno parte del Regno non è più il caso di accalorarsi in vane discussioni intorno ai nomi coi quali vanno indicate. Oggi bisogna chiamare pane al pane e vino il vino, barba la barba e non l’onor del mento. E tanto per cominciare io vorrei proporre di chiamare addirittura Tirolo italiano quella parte dell’attuale provincia tridentina che è abitata da popolazione esclusivamente tedesca. Questa che dal punto di vista legale e amministrativo è ora una parte della provincia di Trento, e potrà essere domani, come io auguro, una separata e distinta provincia di Bolzano, dal punto di vista storico ed etnico è infatti una parte di quella regione che da più secoli fu chiamato Tirolo (…) L’Alto Adige non fu da noi redento, ma fu da noi annesso“.
La toponomastica e l’autonomia, argomenti che erano all’ordine del giorno. Un secolo fa.

Il passo

Tornando al passo del Brennero, val la pena di ricordare che è diventato “confine di Stato” da poco più di un secolo. Non lo era nei secoli precedenti, anzi, era noto per essere transitabile per tutto l’anno e per essere il valico più basso dell’arco alpino. Non a caso, era già un importante nodo di transito nel II secolo d.C.
Anche tra il 1918 e il 1998 (anno in cui è stata smantellata la barra di confine a seguito degli accordi di Schengen) nonostante la frontiera e i relativi controlli, sono transitati dal Brennero milioni di persone. Mercanti, commercianti, contrabbandieri e turisti, ma anche i profughi al termine della “Grande guerra”, gli agricoltori italiani diretti in Germania nel 1938, gli “opzionisti”, gli ebrei destinati ai campi di sterminio, poi ancora altri prigionieri di guerra, i “gastarbeiter” e, ancora, i profughi provenienti dall’ex Jugoslavia, dall’Africa o dal Medio Oriente.

Basterebbe questo a evidenziare come la parola “confine” abbia molto a che fare con la propaganda e molto meno con la realtà.
La storia ci insegna che il Brennero ha continuato ad essere un luogo di passaggio, indipendentemente dalla volontà di sovrani, dittatori e presidenti. A maggior ragione lo è oggi a quasi venticinque anni dagli accordi di Schengen. Chi con minore difficoltà (i cittadini Ue), chi con maggiore (tutti i cittadini extra Ue che non possono spacciarsi per turisti), ma anche nel 2021 milioni di persone lo hanno attraversato nonostante il Covid.

Passeggiando a piedi verso il cippo confinario, ho incrociato quasi esclusivamente loro: i turisti. Chi in bicicletta, chi a piedi. I primi si fermavano brevemente per scattare qualche foto ai vecchi simboli del confine , i secondi, in gran parte, entravano all’Outlet che, come già raccontato, è in terra di nessuno o forse di tutti.
Proprio mentre mi accingevo ad attraversare la strada, ho notato un cartello appiccicato sulla porta di un magazzino dell’Outlet. Sopra, in grandi lettere nere una scritta: “Attenzione. Queste porte devono rimanere SEMPRE chiuse!“. La porta, però, non era aperta, era spalancata.
Sono scoppiato a ridere mentre immaginavo la faccia di Sebastian Kurz, il cancelliere austriaco che minaccia la chiusura del confine a mesi alterni.

 

Ps: Di fronte al cippo del confine, sorge l’ex dogana di cui avevo scritto qui. Quella che ospitava il negozio su cui sventolava la bandiera bianco e rossa dei saldi. Ora non ci sono più né il negozio, né la bandiera. A pochi metri di distanza, un cartello ricorda che in Tirolo i test Covid sono gratuiti.

Massimiliano Boschi

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